Giovani per sempre di Antelmo Dionisi

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“Ci pensi?” disse Lea sdraiata su un fianco, mentre sfogliava un vecchio fumetto di vampiri. “Essere per sempre giovani…”
Luigi, dietro di lei, le accarezzava la pelle chiara della spalla; con un sorriso disse: “Non andresti mai in menopausa…”
La donna, con un’espressione irritata, si voltò verso di lui. “Stupido!”
Luigi tolse la mano e si allontanò. “Perché? Che ho detto?” chiese, sinceramente meravigliato.
“Pensi solo a scopare…”
“Ma stavo scherzando…” Luigi fece per accarezzarla di nuovo.

Lea si alzò a sedere sul letto. Il corpo nudo avvolto dalle lenzuola. Le braccia strette attorno alle ginocchia. Guardava fisso davanti a sé. Una maschera da dea infuriata le aveva sostituto il volto. “Ti interessa solo fottere! Noi in realtà non viviamo insieme! A te basta entrarmi nella fica ogni tanto!”
“No, ti prego, non ricominciare con queste stronzate…” ribatté Luigi. Si sdraiò sulla schiena e sbuffò.
Lea aprì un cassetto del comodino e prese un pacchetto di sigarette quasi vuoto. Ne accese una. I muscoli facciali contenevano a stento la rabbia. “È la verità. Non ci vediamo mai. E quando stiamo insieme, non sono mai più di un paio di ore.”
Luigi, contrariato, si alzò dal letto, scostando bruscamente le lenzuola.
Lea fece il verso alla voce roca di lui: “Non andresti mai in menopausa…”
Tirò dalla sigaretta. Poi una nuvola di fumo uscì dalle labbra rosse semichiuse.
La donna si voltò di scatto verso il suo compagno.
“Sappi che ho intenzione di diventare una cinquantenne assatanata! E tu dovrai pregarmi per rimanere con te!”
“Sì, magari con l’età diventi meno frigida.”
“Ma sentitelo il grande scopatore! Se sono fredda a letto è perché tu pensi solo a te, stronzo! Non faresti eccitare neanche la peggiore delle troie!”
Lea muoveva freneticamente le mani – il fumo della sigaretta si inanellava in volute isteriche – e aveva alzato il tono di voce. Gridava, quasi.
Luigi, in piedi, ancora nudo, la guardò e non rispose.
Le ultime parole di entrambi chiusero la discussione come pesanti cancelli neri arrugginiti.

Lea e Luigi iniziarono a rivestirsi in silenzio.
Lui apriva ante di armadio e cassetti, studiando i colori di calze e cravatte con movimenti precisi e impacciati, come se eseguisse una coreografia con la paura di sbagliare i passi.
Lei sembrava compiere una fatica tremenda per infilarsi un paio di slip e una vestaglia blu dai riflessi cangianti.
Ormai rivestito – un incontro di lavoro lo attendeva fra tre quarti d’ora –, Luigi si sedette sul letto, accanto a Lea che stava cercando un disco nel mobile dello stereo. Le prese la mano sinistra.
Lei osservò la mano di lui: la pelle abbronzata, i tendini che quasi tremavano.
“Lo sai che, se voglio la promozione, devo darci dentro” disse Luigi. “Rappresentare l’azienda ai convegni. Incontrare i partner esteri. Devo dimostrare di essere insostituibile. Così, quando, tra poco, Sentieri andrà via, se non vogliono che usi le mie capacità altrove, dovranno offrirmi il posto di vicedirettore.”
“Mi sento stanca e vecchia” replicò Lea. “Ho venticinque anni e ancora non sono una modella professionista. Tra poco non mi vorrà più nessuno…”
Si guardarono negli occhi per qualche secondo. Poi si abbracciarono e si baciarono: sembrava che ognuno dei due esplorasse il corpo dell’altro per verificarne l’adeguatezza come rifugio dalla realtà. Di nuovo nudi, fecero ancora l’amore. Il linguaggio dei loro corpi esprimeva una strana combinazione di guerra e resa reciproca.

Il vinile nero ruotava sulla piastra del giradischi.
Con un tenue fruscio la puntina percorreva i solchi.
Una vecchia canzone di musica pop stava suonando dallo stereo.
In un posacenere di cristallo erano depositati dei mozziconi di sigarette. Uno non si era ancora spento. Un filo sottile di fumo saliva nell’aria fino a disperdersi.
Lea era sotto la doccia.
Luigi si stava rivestendo: sarebbe arrivato un po’ tardi all’appuntamento, ma non importava. Fischiettava il motivo della canzone che si diffondeva dagli amplificatori. Guardò verso il bagno. Attraverso la porta aperta. Il pannello di vetro della doccia era appannato dal vapore.
Il rumore del getto d’acqua si interruppe. La porta di vetro si aprì. Ne uscì una figura femminile dalla pelle bagnata e i capelli neri e lisci tirati indietro. Avvolgendosi la capigliatura in un asciugamano, Lea iniziò a cantare anche lei la canzone che usciva dallo stereo. Si infilò un accappatoio e lanciò un bacio a Luigi che lo prese al volo, sorrise e uscì dalla stanza.

Luigi aprì il frigo e iniziò a cercare una bottiglia di latte. Appena entrato in cucina, aveva rianimato l’Hitachi da venti pollici: era una sua abitudine tenere acceso il televisore a volume basso, come in sottofondo. Davano la replica di un varietà serale. Un presentatore in abito scuro che dimostrava molto meno dei suoi anni; due showgirl dal corpo sodo, la pelle liscia e lievemente abbronzata; musica che voleva essere allegra; sorrisi dappertutto come esplosioni a salve. Desiderio di eterna giovinezza e sogno di immortalità. Luigi non riusciva a trovare il latte. Avvertiva un odore. Un olezzo. Sempre più intenso. Qualcosa andato a male. Si disse che non aveva il tempo per controllare. Ma l’esalazione diventava sempre più forte e aveva assunto una sfumatura dolciastra e nauseabonda. Luigi aprì tutti gli scompartimenti del frigorifero. Non riuscì a individuare la fonte del tanfo. Tirò fuori i cassetti. Li svuotò e mise tutto il contenuto sul tavolo. Ricordò l’appuntamento. Si disse di nuovo che doveva sbrigarsi. Un ritardo poteva indispettire i suoi interlocutori. Si allontanò dal frigo, ma continuò a sentire l’odore che si arricchiva continuamente di nuove sfumature. Adesso lo avvertiva dappertutto. Dovunque si spostasse. Non era più capace di dire se fosse una puzza terribile o un profumo dolcissimo.
Sapeva di cose morte in altre dimensioni. Organismi alieni in fase avanzata di decomposizione in un pianeta dove la morte era pietosa e crudele. Non esistevano la speranza e i sogni. La vita durava meno di un secondo e ogni essere vivente era solo materia in perenne trasformazione. L’identità si riduceva a una maschera di pelle, un’uniforme, una barra di codice. Le emozioni e i sentimenti avevano solo cause chimiche e organiche…
L’odore proveniva dal televisore.
Luigi si chiese come avesse fatto a non accorgersene prima.
Ma un televisore poteva rovinarsi, esplodere, bruciare.
Non imputridire.
Sullo schermo il presentatore aveva un’espressione contrita e stava parlando della grave tragedia che aveva colpito recentemente il popolo italiano. Subito dopo, senza quasi soluzione di continuità, i muscoli facciali si tesero in un sorriso bianco e luminoso e l’anchorman introdusse l’ospite canoro.
Le soubrette applaudivano e sorridevano come statue viventi in un tempio di luce. Faceva loro eco l’applauso del pubblico. Un coro furioso di battiti di mani, forte sempre più forte, un fragore così intenso da essere prossimo al silenzio, che uccideva ogni pensiero cosciente.
Gli uomini e le donne, seduti in platea, si affidavano alla benevolenza del Dio Serpente che cambiava pelle e rimaneva sempre uguale a sé stesso, avvolgendo nelle sue spire cervelli e anime, impedendo loro ogni possibilità di uscita.
Luigi stava capendo.
Luigi capì.
Luigi aveva capito.

Dalla cucina uscì un uomo che impugnava un coltello.
Il manico era di legno scuro e la lunga lama affilata era sporca di sangue.
L’uomo era nudo.
Il sangue sgocciolava sul pavimento, scorreva sui piedi, sulle caviglie, sui muscoli dei polpacci e sulle cosce, usciva in fiotti dalla ferita aperta tra le gambe che occupava lo spazio dove prima erano gli organi genitali. Gli addominali erano rossi del sangue che fluiva dai capezzoli strappati. I muscoli della mascella erano rigidi. Le labbra, rivoltate come un fiore, si dischiudevano attorno alla dentatura digrignante da teschio. Gli occhi, con le palpebre tagliate, erano condannati allo sguardo eterno.
Incisioni sanguinanti, come geroglifici indecifrabili, percorrevano tutto il volto.

Lea, seduta sul letto con ancora indosso l’accappatoio, stava sfogliando una rubrica telefonica. I numeri più importanti erano accanto a nomi scritti a caratteri maiuscoli. Sulle lenzuola bianche riposavano vecchi albi a fumetti sui vampiri, le pagine aperte e piegate. Su di lei si profilò un’ombra.
Alle sue spalle la voce di Luigi disse: “Senti, amore, ci stai pensando ancora?”
“…a cosa?” rispose Lea senza voltarsi.
“Essere sempre giovani.”
“…”
“No, perché un modo ci sarebbe…”
Lea si voltò lentamente – un’espressione interrogativa in volto – verso il riflesso della lama.

Copyright di Antelmo Dionisi

© Antelmo Dionisi

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